Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è più morte;/ ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,/ dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com'i' v'intrai,/ tant'era pien di sonno a quel punto/ che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri Commedia. Inferno, Canto I


lunedì 27 luglio 2015

La figlia del trans untore


Premessa necessaria e doverosa: tu vieni da una famiglia in cui – non l’ha deciso nessuno, ma nei fatti è così – si va dal medico se si è incinte, moribondi o più simili a un appestato pieno di pustole schifose che a un essere cosiddetto umano. Negli altri casi di media o bassa gravità, si è ottimisti e si pensa che passerà da solo o con l’ausilio dei soliti rimedi di base.


Questo nonostante l’evidenza. Anche quando quella che credevi influenza ti fa sembrare la figlia del trans quanto a voce roca o la figlia dell’untore quanto a tosse e spargimento di germi, tu ti riduci ad andare dal medico solo quando diventi la figlia untrice del trans, o il trans figlio dell’untore. Mai prima, sia chiaro. Ovviamente, quando ci vai ti comporti da persona tutta d’un pezzo (il bubbone, di solito): non ti fai accompagnare e ti fai un chilometro sotto la pioggia, tanto per dimostrare che no, tu non stai poi così male. Poi ti spediscono immediatamente a fare una lastra per sospetta polmonite ma no, tu non stai poi così male. Prova ne è che al pronto soccorso ti hanno dato un codice verde che vuol dire che 1. tu non stai poi così male e 2. visto che è pure così vero, aspetterai non meno di sei ore tossendo e spargendo fantomatici pezzetti di polmoni malati per tutta la sala. 

Comunque, la premessa è che se tu sei uno che con una sospetta polmonite per andare dal medico si fa un pezzo di strada sotto l’acqua, è ovvio che fatichi a relazionarti con amici o partner ipocondriaci. Così come sai che in natura esistono vari tipi di insetti, sai anche che la specie in questione – “gli ipocondriaci” – non solo esiste, ma pure prolifera. Ti sei quindi rassegnato al fatto, scientificamente inspiegabile, che esseri che sono più deboli dei loro simili e che pure ci si sentono, più deboli degli altri, continuino a sopravvivere e siano anzi numericamente in espansione. Lo cataloghi sotto “aberrazione della specie”. 

Ma anche se sei un tollerante esemplare di homo sapiens, rassegnazione non significa accettazione. Continui dunque a stupirti dell’ansia dell’amico che somatizza qualsiasi cosa – se tu hai un leggero accenno di influenza, lui sente già tre linee di febbre; se una ha mal di pancia perché ha il ciclo, ce n’ha un po’ pure lui, ecc. ecc. –, della collega che dopo aver mangiato quanto Pantagruel si palpa mezzo addome chiedendo a tutti se l’appendice, sicuramente infiammata, stia a destra o a sinistra, del paziente che stava con te in sala d’aspetto quella volta della sospetta polmonite che racconta che siccome è meglio prevenire, lui fa le analisi – tutte – ogni mese. Ti stupisci, ma realizzi che è meglio tacere. Da una parte sei contento: non solo hai compreso da tempo che la logica non può sconfiggere le paure ancestrali, ma se Darwin ha poco poco ragione tu sopravvivrai e loro no, e son soddisfazioni.





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