Hai traslocato. Già così,
per aiutarti psicologicamente, te lo avevano spacciato come una rogna
apparentabile a una malattia. Se da fonte ufficiale la polmonite o la bronchite
acuta sono la terza causa di mortalità in Italia, i traslochi sarebbero la
terza causa di stress nella vita, preceduti solo da lutti e licenziamenti – o,
secondo altre fonti, dalla fine di un amore importante, che a volte è pure la causa
del trasloco stesso. Come a dire che allora sei alto in classifica, occupando
contemporaneamente le posizioni due e tre. Se poi fumi e ce l’hai già, la
malattia alle vie respiratorie, addio, è stato bello conoscerti.
Comunque sia, questo
trasloco s’ha da fare. Cerchi allora di gestirlo con volontà, organizzazione, serenità,
capacità di adattamento, come suggerisce un sito ricco di slogan incoraggianti e
di consigli “interessanti” quali “vivi i momenti disagiati come una vacanza”. Tu
ringrazi ma hai ben presto capito che tutto questo non basta, e che quello che
ti serve veramente – senza nulla togliere agli autori del sito, eh – è una ragguardevole
quantità di denaro utile a pagare dei traslocatori. Quelli che “soluzioni
chiavi in mano” però presentano parcelle che neanche i broker della City londinese, e allora arrivi a un compromesso
storico: traslocatori sì, chiavi in mano no. Il che significa che cartoni e
scatoloni e spostamenti te li fai pure tu.
Smadonni un po’, ma in fondo il
turpiloquio aiuta a mantenere la tua salute psichica e, conseguentemente, il
tuo lavoro. Di cui ormai hai bisogno come dell’aria che respiri: se lo perdi, scali
in un sol colpo la top ten dello stress e della sfiga, cumulando trasloco e licenziamento.
Se non ti prendi pure una bronchite fulminante, difficile far meglio. E poi, comunque
ti servono i soldi per pagare i traslocatori. Quindi fai scatole e smadonni,
dando sfogo a tutta la tua creatività linguistica e inventando formule diverse
per situazioni diverse: gli ormai famosi traslocatori in ritardo di un’ora, il
vicino che si lamenta del trambusto mentre tu trascini vagonate di libri e
vestiti giù per le scale pensando che non ti pareva di essere Carrie Bradshaw
di Sex and the City, l’automobilista parcheggiato in sosta vietata giusto
davanti al portone.
Certo devi stare un po’ attento e usare più o meno fantasia
a seconda dei casi. Un insulto esplicito e chiarissimo non è magari il massimo
se il tizio parcheggiato è una specie di armadio picchiatore. In questi casi
meglio l’ellissi, la litote o, più semplicemente, un tono di voce più basso. Comunque
alla fine ce la fai, imballi e sballi e impacchetti e spacchetti e riordini.
Insomma, fai tutto, così che alla fine campi felice in una casa nuova in una
zona che ti piace di più. Non fosse per il fatto che parcheggiarci è
difficiletto: non hai il garage, gli stalli delle vie limitrofe sono presi
d’assalto come neanche Gerusalemme al tempo delle crociate, il passatempo
cittadino sembra essere quello di fare lavori stradali ed è noto che quando si
parcheggia è buona norma mettere la macchina così male da occupare almeno un
posto e mezzo. Altrimenti non sei nessuno. Evvabbè. Percorri per la seconda
volta le vie circostanti, ti metti la musica e pensi al momento disagiato “come
a una vacanza” e all’autrice dell’articolo come a una zoccola. Che per carità, sarà
pure sessista e scorretto, ma aiuta.
Nessun commento:
Posta un commento