Nel mezzo del cammin di nostra vita/ mi ritrovai per una selva oscura/ ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura/ esta selva selvaggia e aspra e forte/ che nel pensier rinova la paura!
Tant'è amara che poco è più morte;/ ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,/ dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.
Io non so ben ridir com'i' v'intrai,/ tant'era pien di sonno a quel punto/ che la verace via abbandonai.

Dante Alighieri Commedia. Inferno, Canto I


lunedì 20 luglio 2015

La bestia pregevole, gli highlanders e le fogne

Di solito quando smarrisci la diritta via e ti perdi nella selva oscura c’entrano gli uffici pubblici o gli scientifici, che hanno uno humour dissociato rispetto al tuo. Fanno le battute sui legami chimici, ridono su barzellette per addetti ai lavori, ti inquietano rivelandoti verità oggettive quali la distruzione di migliaia di neuroni al giorno – la buona notizia dovrebbe essere che anche se hai meno neuroni, le sinapsi si ramificano di più; ma quando avrai un solo neurone superstite, come gli highlanders del film, con che cazzo si ramificano le sinapsi? Mah.
Comunque. Per una deviata forma di par condicio e quasi tuo malgrado, devi però ammettere che anche con gli umanisti creativi si possono raggiungere livelli di stortura apprezzabili. Arrivi infatti a disquisire seriamente di: 

1. evoluzioni della “metacazzarità” – fino a un minuto prima, tu pensavi banalmente di essere a tratti volontariamente deficiente; ora ti trovi a riflettere sulle possibili forme di adattamento cronologico e socio-culturale di quella che tua madre chiama semplicemente “la tua demenza”; 

2. valore intrinseco dei termini, visto che l’argomento di 5 minuti buoni è se come appellativo tra amici sia meglio “bestia” o “merda”. Alla fine si arriva a un compromissorio quanto diplomatico “bestia pregevole”, anche se il tuo amico continua a preferire “merda”, condizione per lui reversibile e meno offensiva perché implica l’essere meno scemo rispetto a “bestia”; 

3. valore dei gesti, dei sussulti, delle paresi e dei tic nervosi. Partendo dal concetto – peraltro verissimo – che il linguaggio non è mai innocente, tu sei ormai abituato a rilevare, più o meno inconsciamente, sfumature e possibili significati altri delle parole – esempio: mica ti saresti mai immaginato che dare della “merda” a qualcuno potesse essere quasi valorizzante, comparativamente parlando. Solo che adesso ti ritrovi a cena con uno che lavora da mo’ nella televisione e nel giornalismo e che scansiona implacabilmente anche il tuo cosiddetto “body language”. Ovvio. L’arte dell’impostazione del sopracciglio gliel’hanno insegnata a quattro anni, tipo, e quando tu giocavi a nascondino lui già sezionava, figurativamente parlando, i sussulti delle clavicole altrui; 

4. di libri, di dischi e di film – tu ovviamente non hai visto il capolavoro imperdibile del cinema mondiale, ma te ne freghi perché stai ancora rimuginando sulla posizione apparentemente compromettente del tuo sopracciglio destro di quattro minuti fa, quando stavi pensando se prendere il dolce o meno; 

5. di paronomasie e sfumature: tu hai detto che il tal lavoro è una rogna perché è complesso benché interessante. Mezz’ora dopo ti torna che hai qualificato di “fogna” – dev’essere colpa del solito sopracciglio – l’opera ultima del tuo amico, quello che non ha mai giocato a nascondino in vita sua (quello che vorrebbe essere merda ma è solo bestia pregevole è l’altro). 

Dopo tutto ciò, tu quasi rimpiangi i discorsi scientifici sulla selezione della specie e sul sesso avicolo, tanto più che di diritto qui non resta più granché, nemmeno il rimando alla “diritta via” di Dante. ‘Sti umanisti relativisti del cazzo stanno già disquisendo sul “diritta per chi?”, mentre a te non resta che ordinare altro vino.

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