Di solito quando smarrisci la diritta via e ti perdi
nella selva oscura c’entrano gli uffici pubblici o gli scientifici, che hanno uno
humour dissociato rispetto al tuo. Fanno le battute sui legami chimici, ridono
su barzellette per addetti ai lavori, ti inquietano rivelandoti verità
oggettive quali la distruzione di migliaia di neuroni al giorno – la buona
notizia dovrebbe essere che anche se hai meno neuroni, le sinapsi si ramificano
di più; ma quando avrai un solo neurone superstite, come gli highlanders del film, con che cazzo si
ramificano le sinapsi? Mah.
Comunque. Per una deviata forma di par condicio e quasi tuo malgrado, devi però
ammettere che anche con gli umanisti creativi si possono raggiungere livelli di
stortura apprezzabili. Arrivi infatti a disquisire seriamente di:
1. evoluzioni
della “metacazzarità” – fino a un minuto prima, tu pensavi banalmente di essere
a tratti volontariamente deficiente; ora ti trovi a riflettere sulle possibili
forme di adattamento cronologico e socio-culturale di quella che tua madre
chiama semplicemente “la tua demenza”;
2. valore intrinseco dei termini, visto che
l’argomento di 5 minuti buoni è se come appellativo tra amici sia meglio
“bestia” o “merda”. Alla fine si arriva a un compromissorio quanto diplomatico
“bestia pregevole”, anche se il tuo amico continua a preferire “merda”, condizione
per lui reversibile e meno offensiva perché implica l’essere meno scemo
rispetto a “bestia”;
3. valore dei gesti, dei sussulti, delle paresi e dei tic
nervosi. Partendo dal concetto – peraltro verissimo – che il linguaggio non è
mai innocente, tu sei ormai abituato a rilevare, più o meno inconsciamente,
sfumature e possibili significati altri delle parole – esempio: mica ti saresti
mai immaginato che dare della “merda” a qualcuno potesse essere quasi valorizzante,
comparativamente parlando. Solo che adesso ti ritrovi a cena con uno che lavora
da mo’ nella televisione e nel giornalismo e che scansiona implacabilmente
anche il tuo cosiddetto “body language”. Ovvio. L’arte dell’impostazione del
sopracciglio gliel’hanno insegnata a quattro anni, tipo, e quando tu giocavi a
nascondino lui già sezionava, figurativamente parlando, i sussulti delle
clavicole altrui;
4. di libri, di dischi e di film – tu ovviamente non hai
visto il capolavoro imperdibile del cinema mondiale, ma te ne freghi perché
stai ancora rimuginando sulla posizione apparentemente compromettente del tuo
sopracciglio destro di quattro minuti fa, quando stavi pensando se prendere il
dolce o meno;
5. di paronomasie e sfumature: tu hai detto che il tal lavoro è
una rogna perché è complesso benché interessante. Mezz’ora dopo ti torna che
hai qualificato di “fogna” – dev’essere colpa del solito sopracciglio – l’opera ultima del tuo amico, quello che non ha mai giocato a nascondino in
vita sua (quello che vorrebbe essere merda ma è solo bestia pregevole è l’altro).
Dopo tutto ciò, tu quasi rimpiangi i discorsi scientifici sulla selezione della
specie e sul sesso avicolo, tanto più che di diritto qui non resta più granché,
nemmeno il rimando alla “diritta via” di Dante. ‘Sti umanisti relativisti del
cazzo stanno già disquisendo sul “diritta per chi?”, mentre a te non resta che
ordinare altro vino.
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